Produzioni
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Acido solforico
ACIDO SOLFORICO
Liberamente ispirato al romanzo
'acide sulfurique' di Amélie Nothomb
edizioni albin michel
traduzione di monica capuani per voland edizioni
drammaturgia Patricia Conti
con
Ruggero Dondi, Debora Zuin, Federica Fabiani, Alessandro Castellucci, Giulio Baraldi, Patricia Conti, Nicola Stravalaci, Cinzia Spanò, Valeria Perdonò, Enrica Chiurazzi, Sasà Bruna, Andrea Tibaldi, Mariateresa Lagorio
al microfono Natale Ciravolo
e con gli allievi della Scuola di teatro Macró Maudit
Luca Paravano, Monica Vitali, Dario Mazza, Vielga Romagnesi, Raffaella Ellero, Michele Cannarella, Renato Bertapelle, Maddalena Arpa, Federica Angelucci, Claudia De Vito
musiche originali del M° Fabio Vacchi
progetto scenico Guido Buganza
regia video Marta Mondelli
direzione tecnica Mario Lo Previte
Works of art Urbansolid
costumi Arti di Scena
operatore video Massimiliano Rigano
organizzazione Luca Mancini
regia Alessandro Castellucci
con il patrocinio del Consolato Generale del Belgio di Milano
progetto finalista 'Premio Dante Cappelletti 2009'
produzione
Macró Maudit Spectacules e Tieffe Teatro Menotti
Venne il momento in cui la sofferenza non li sfamò più.
Ne pretesero lo spettacolo.
Uno sconvolgente reality show, creato per intrattenere un pubblico annoiato ed assuefatto.
Un format rivoluzionario.
Un successo planetario.
Protagonisti uomini e donne qualsiasi, rastrellati per strada e destinati all’eliminazione.
Lo spettatore interagisce con un click del telecomando.
E uccide col televoto.
ACIDO SOLFORICO porta in scena un agghiacciante reality show che riproduce gli orrori della deportazione e dei campi di sterminio, a scopo di intrattenimento.
Debutto teatrale del romanzo della celebre scrittrice Amélie Nothomb: un testo drammatico e grottesco, intenso e sarcastico in cui il dolore si intreccia inscindibilmente alle logiche della sopravvivenza dell’audience. Grazie alla perfetta integrazione tra il piano della finzione teatrale, quello della realtà pilotata del reality show e la ‘vera realtà’ degli spettatori in sala, il format televisivo viene portato agli estremi.
Il gioco è tanto semplice quanto perverso: due squadre antagoniste - prigionieri e kapò - sobillate dalle feroci tecniche di gradimento messe in atto dagli Autori televisivi; una conduttrice alla sua ultima apparizione pubblica e perciò condannata alla pena di morte per oblio; gli ospiti in studio - grotteschi esseri generati dal fraintendimento tra fama e notorietà; un pubblico da casa non più cittadino del mondo ma suddito del Regno del Reality, le cui regole inumane - dettate da sponsor e share - vengono globalmente assimilate nel tempo di uno spot.
Una breve apparizione in video può costituire l’obiettivo di tutta una vita, rappresentare il grembo da cui rinascere in alta definizione. L’immagine di se stessi trasmessa in prima serata, che violentemente si fa largo nelle case e nelle menti di milioni di telespettatori, può regalare il trionfo del riscatto da una vita di mortale normalità, una chance di vera esistenza.
Un incubo televisivo di cui non si può perdere una puntata. -
Calcio finché muoio
CALCIO FINCHE' MUOIO
Stadi di violenza ultras
di
Patricia Conti
diretto e interpretato da
Alessandro Castellucci
suoni e fonica
Massimo Farinella
disegno luci
Alessandro Tinelli
ufficio stampa e comunicazione
Valeria Zanoni, Isabella Dattrino
consulenza editoriale
emme&erre letterature
consulenza per le Forze dell'Ordine
Alberto Sala
montaggio video
Francesco Sblendorio
foto
Mirko Torresani
con la collaborazione di
Arti di Scena
‘...C’è silenzio. Tu e gli altri siete come squali. Zitti, in formazione. Aspettate i pesci. Arriveranno a frotte. L’aria comicia a muoversi. Senti l’odore. E comincia il brivido. Ti sale dalla schiena, ti fa rizzarre i peli delle braccia. Infili il passamontagna che lascia fuori solo i tuoi occhi da squalo. Sei al centro di tutto. Non importa chi sei. Anche tu, oggi, puoi essere il cazzuto eroe del giorno. E’ domenica. Ammazziamoli tutti.’
Macró Maudit prosegue la propria peculiare indagine sul mondo del calcio.
Dopo il successo de ‘Nel fango del dio pallone – La storia maledetta di Carlo Petrini, centravanti di serie A’, tratto dall’omonima autobiografia di Petrini nella quale si intrecciano le vicende di una travagliata esistenza e le tappe di una lunga carriera di calciatore tra doping e partite truccate, ‘CALCIO FINCHE' MUOIO’ esplora il mondo delle tifoserie violente.
Lo spettacolo accende i riflettori non su un campo di gioco né sui suoi protagonisti miliardari, ma sulla solitudine, sulle curve e sui gruppi che armano di violenza una partita.
Un ultras è prima di tutto un ultras. Poi, forse, può anche essere un padre, un marito, un lavoratore, uno studente...
Uomini diversi per età, cultura e condizione sociale, sanno che la vita si riduce a una semplice regola.
Noi contro Loro.
Protagonista è un giovane uomo ai margini della società, che vive dapprima l’angoscia della sua emarginazione, e poi l’esaltazione dell’accettazione. Le sue azioni diventano gesta, e quel ‘Nessuno’ della vita di ogni giorno ha finalmente un nome che incute rispetto.
Ma la violenza si alimenta soltanto con un’ulteriore violenza, e non si può essere distratti da nient’altro, nemmeno dalla poesia di Kevin McKee detto Undicidita, un autentico genio del pallone dai comportamenti imprevedibili, capace di giocate che trasformano il prato verde in una partitura musicale.
Che rendono possibile l’impossibile, come la magia.
Ma le sue finte, i suoi tocchi e i suoi gol sono soltanto distrazioni.
La battaglia aspetta.
L’odio chiama.
Fuori dal gruppo non sei nessuno.
Dentro sei tutto.
Per la durata di una partita, puoi essere padrone della tua vita.
E non conta quello che accade sul campo, perché quello è solo un gioco.
Alessandro Castellucci dà voce e corpo al tema attuale del tifo violento, a una realtà vicina e spesso incomprensibile, che continua a mietere vittime inutili.
Uno spettacolo deciso sul fascino del male e della bellezza, su un gioco dalla posta altissima: la vita. -
Nel fango del dio pallone
NEL FANGO DEL DIO PALLONE
La storia maledetta di Carlo Petrini, centravanti di serie A
con
Alessandro Castellucci
scritto da
Giulio Baraldi e Alessandro Castellucci
regia
Giulio Baraldi
musiche
Fabrizio De Andrè, Radiohead, Jethro Tull, Yann Tiersen
foto
Mirko Torresani
Un ex-calciatore racconta.
Uno che forse, in carriera, ha conosciuto da vicino Carlo Petrini.
Ma chi era Carlo Petrini?
Uno famoso, uno che giocava nel Milan del 1968; ai tempi di Prati, di Trapattoni, di Gianni Rivera.
Uno che però hanno voluto cancellare dalla storia del calcio.
Perché?
In attività cominciò a sperimentare gli effetti di sostanze illegali dopanti.
Una regola negli spogliatoi.
Poi, negli anni settanta fu mediatore e artefice di diverse partite truccate.
E nel marzo del 1980, tra numerosi responsabili, Petrini fu uno dei pochi a pagare per tutti.
Ma quello che più spaventa il "dorato mondo del pallone" è la presenza di Petrini oggi: un uomo che, pagate sportivamente e penalmente le sue colpe, colpito umanamente negli affetti più cari, non ha più paura di dire quello che nel calcio "si fa ma non si deve dire".
Nel best seller "Nel fango del dio pallone", autobiografia di Petrini, da cui siamo partiti, l'ex giocatore del Milan, ma anche della Roma, del Bologna, e del Genoa confessa tutto. Decine e decine di pareggi concordati, le partite vendute, gli eccessi fuori dal campo, il doping e gli espedienti per eludere i controlli e i soldi in nero.
Una ricostruzione attenta e disincantata, a volte rabbiosa, di un uomo che ha vissuto nel calcio tutta la sua giovinezza.
Che non ha paura di fare i nomi perché il calcio gli ha dato, ma, soprattutto gli ha tolto tutto.
Nessuna smentita, nessuna denuncia per diffamazione viene indirizzata a Petrini. Eppure in tantissimi hanno letto il suo libro.
E' perché Petrini ormai non conta più niente e il suo farneticare non interessa a nessuno? O perché le sue affermazioni, supportate da prove, testimoni, date e luoghi, non possono essere smentite?
Macró Maudit cerca di raccontare una vicenda scottante, che ha come protagonista un ex-calciatore ma soprattutto un uomo forte e contraddittorio. Proseguendo il suo percorso artistico, dedicato alle figure contemporanee, perdenti e maledette.
Una storia sincera, coraggiosa, senza enfasi né eroi. Uno spettacolo di denuncia, senza moralismi, senza mezze allusioni, sul mondo del "dio pallone". Una rappresentazione teatrale che, di sicuro, farà discutere.
Perché è la storia di un precursore del calcio dorato di oggi.
Dedicata a tutti quelli che, come noi, amano il meraviglioso mondo dello sport. Quello vero.
Dedicato soprattutto ai ragazzi.
Quelli che cominciano.
'Una recente indagine ha dimostrato che un adolescente su tre è disposto a fare uso di sostanze illecite pur di raggiungere il successo nel mondo del calcio. La cosa ancora più inquietante è che il 10% di loro si dichiara pronto a morire per uso di queste sostanze, pur di assomigliare al proprio idolo sportivo.'
(Carlo Petrini) -
Mobbing!
MOBBING!
Storie in ufficio
con
Alessandro Castellucci (Roberto)
Chiara Petruzzelli (Maria Luisa)
Rocco Ricciardulli (Michele)
Debora Zuin (Federica)
regia e drammaturgia
Giulio Baraldi
assistente alla regia
Claudine Castay
foto
Alessandro Genovesi, Mirko Torresani
musiche
Tiromancino
Uno strano ufficio.
Quattro impiegati, a sorpresa, si confessano.
Ispirato ad alcune storie vere di mobbing, "pressione", sopruso sul posto di lavoro, "Mobbing!" è una rappresentazione gelida su un mondo disincantato, spesso privo di illusioni: l'ufficio.
Una scrivania e un neon troppo basso evocano storie quotidiane, ma "sporche" e quasi surreali, che nascono e muoiono, nella stessa stanza.
Una segretaria inibita, un custode sotto stress, un'archivista zen e un medico del lavoro, che confessano le proprie paure davanti a un pubblico inatteso e, forse, ostile: i colleghi.
Un grido muto in un ambiente sordo, a volte disumano, carico di ombre che non comunicano, destinate al degrado professionale e umano.
Ognuno è destinato alla propria sorte: isolamento, follia, violenza, suicidio.
Macró Maudit indaga con sottile ironia, sui rapporti nel mondo del lavoro e su ciò che rimane di un ideale inutile: la carriera.
Buon lavoro!
NOTE DI REGIA
Abbiamo provato a immaginare come raccontare quattro storie di mobbing, "pressione", ingiustizia sul mondo del lavoro e ci siamo accorti di come fossero tutte molto diverse, ma caratterizzate da un elemento comune: la durata.
Ma come è possibile rappresentare una storia caratterizzata da soprusi sottilissimi, quasi impercettibili che si sviluppano per anni e anni? Come si può rendere interessante un racconto complesso, spesso contraddittorio (tra "oppressore" e "oppresso"), privo di conflitti appariscenti e con dinamiche difficilmente comprensibili?
Ma, soprattutto, come si può rendere teatralmente emozionante un luogo freddo, razionale e "spietato" come l'ufficio?
E il lavoro, all'inizio, si è rivelato difficile; a volte, esasperante.
Quindi, siamo ripartiti da ogni storia e da un luogo che potesse contenerle tutte: una stanza grigia con una scrivania dove quattro impiegati si avvicinassero al pubblico, come per spiegare, i motivi della propria crisi professionale.
Ma anche così, sembrava di fare, di tutta l'erba un fascio.
Allora abbiamo provato a raccontare ogni storia in modo diverso: Maria Luisa tiene una sorta di conferenza sullo zen in ufficio; Federica, l'ultimo giorno di lavoro, fa un corrosivo discorso di saluto a tutti i suoi colleghi; Roberto (ed è l'unico che vediamo davvero in azione) decide di fermarsi in ufficio per salvare il posto; Michele urla tutta la sua rabbia, di fronte alle meschinità a cui assiste nel suo ospedale.
E così, approfondendo le differenze, sono emerse le analogie.
Senza la pretesa di uno specchio completo ed esaustivo del fenomeno "mobbing", quello che (speriamo) risulta è una sorta di breve e intenso ensemble, fatto di schegge; schegge di parole, situazioni, risa, urla. Quelle schegge che, a volte, si infilano sotto la pelle per giorni.
Perché, forse, questo è il vero effetto del mobbing, un fastidio continuo e demoralizzante; e se è inspiegabile la resistenza passiva di alcuni soggetti, altrettanto inspiegabile è il degrado sociale, professionale e umano, in cui queste storie sembrano nascere e crescere. Senza possibilità d'uscita. Uno spettacolo di fortissima attualità di messa in scena e di linguaggio.
Desiderio di entrare con lo spettacolo sui luoghi di lavoro. Necessità al quadrato.
Perché ogni pubblico, ogni persona possa riconoscersi, confrontarsi, riflettersi con quello che avviene nel proprio mondo lavorativo.
Perché ogni spettatore, insieme all'attore riesca a fare un passo verso le dinamiche scabrose del nostro mondo. -
Ossa
OSSA
Dissolvimento di un corpo in-fame
di
Patricia Conti e Giulio Baraldi
con
Patricia Conti
scenografie
Simona Monfrinotti
assistente alla regia
Claudine Castay
regia
Giulio Baraldi
Anna sceglie di essere malata.
Lo fa perché come tutti noi cerca una risposta.
Da sola si autoinfligge una morte lenta. E' colpevole, Anna, agli occhi di tutti: della sua famiglia, delle amiche, di se stessa. Colpevole, con sentenza inappellabile, condannata ad anni di malattia. La psicoterapia è un carosello di incontri sbagliati, con medici che fanno sempre le domande sbagliate.
Finché qualcuno non la vede per quello che è, lei, lì nascosta tra le ossa.
E le chiede quanto le costa essere così.
OSSA è un diario-testimonianza, registrato, urlato con sarcasmo, confessato con ironia, cercato e odiato con tutta l'anima di Anna. Le sue parole sono crude e spietate come crude e spietate sono le azioni di autodistruzione che le anoressiche riescono a mettere in atto.
Anna sente bruciare in bocca delle parole. Sono di odio verso se stessa, ma sono anche un grido di aiuto che quando uscirà avrà solo la forza di un sussurro.
Il corpo, i sogni, la realtà: tutto è deformato, masticato dalla macchina della malattia che chiede sempre di più. Di più.
"Gabbia d'oro": così ha definito l'anoressia Hilde Bruch, una delle maggiori studiose di questa terribile malattia.
L'anoressia consuma, cancella, non solo il corpo ma ogni più autentico pensiero dell'individuo. Tra le ossa scarne di una donna malata, così evidenti e impressionanti, c'è sempre l'urlo di una persona che chiede di essere ascoltata, in fin dei conti, amata.
L'anoressia funziona.
E' questo l'aspetto che crediamo renda questa malattia così pericolosa e insieme affascinante.
E' una risposta che sembra infallibile: dà un enorme senso di potere, accresce l'autostima, dà la sensazione di essere felici.
E cos'è più importante, oggi, di un aspetto gradevole, un'immagine di successo, un'immagine vincente? Gli altri invidiano una forma fisica perfetta, ammirano la forza di volontà di chi riesce a conquistarsela. Perché essere magre costa fatica, tantissima fatica.
Questo è l'inizio.
L'inizio di una malattia, scelta, cercata e inseguita come un progetto di vita.
Mentre la persona malata dedica al cibo, al peso e alla magrezza ogni singolo pensiero della sua giornata, gli altri problemi perdono di importanza. Tutto viene assorbito da questo spettro che si ciba dell'individuo.
Lei, l'anoressia, diventa sempre più forte, chi la subisce invece è sempre più debole, senza capelli, senza mestruazioni, senza denti.
E poichè si tratta di una malattia "scelta", dalla quale spesso non si vuole uscire, ecco che, come per qualsiasi forma di dipendenza, gli altri reagiscono con un feroce distacco: te la sei cercata, è solo un capriccio, mangia che ti passa...
Ma la "gabbia d'oro" non può essere aperta così rapidamente come quando ci si è chiusi dentro; lo sanno i tossico-dipendenti, gli alcolisti, tutti quelli che hanno creduto che la risposta potesse essere una, quella.
Quando la macchina infernale dell'anoressia si è messa in moto e procede con la determinazione di un boia, non vede le lacrime, non si ferma. Nemmeno se svieni per la strada.
Gli altri spesso non sanno che di anoressia si può morire. Dopo aver sconfitto la coscienza, la malattia attacca gli organi, le funzioni vitali. Il male più grande è quello che siamo capaci di infliggere a noi stessi, fino alla fine.
In un requiem sublime e spaventoso.
OSSA è frutto di un lungo periodo di studio, raccolta di dati, esplorazione di agghiaccianti siti internet, testimonianze ed interviste. Per comprendere a fondo l'argomento e ricercare le parole, i gesti, i pensieri più vicini alla realtà della malattia, Macró Maudit si è costantemente avvalsa dell'opera di consulenza prestata da psicologi e psicoterapeuti con profonde esperienze nell'ambito dei disturbi alimentari.
In merito, questa è una riflessione della psichiatra, Dott.ssa Sara Bertelli, dell'Ospedale San Paolo di Milano, con cui stiamo collaborando per approfondire la nostra messa in scena:
'Ho conosciuto l' anoressia in un reparto specialistico, dove le ragazze erano ricoverate per qualche mese. La mia attività negli anni si è poi svolta sempre in ambito ambulatoriale. Questo dato è significativo poiché la prima grande, e spesso non superabile, difficoltà del mio lavoro è trovare il modo di comunicare con persone che palesemente manifestano intenso e doloroso disagio sia nel corpo sia nello stile di vita, che queste patologie inevitabilmente distruggono (vita personale, affetti, amicizie, sentimenti, lavoro) e che si pongono davanti allo specialista con atteggiamento di sfida e spesso di chiusura. Trovare una strada, un linguaggio comune, attaccare le difese onnipotenti e rendere manifesta la coscienza di quanto il disturbo alimentare stia massacrando la loro vita, senza perdere la paziente, e giocare con l'ambivalenza insita in queste patologie, è il primo ostacolo. Spesso sono ragazze accompagnate (costrette) dai genitori, spesso multitrattate con assoluta sfiducia nell'interlocutore e con una grande sintonia con la patologia stessa, con l'illusione di controllo che questo comportamento dà di fronte alla vita, che in fase adolescenziale diviene complessa. In tale contesto, l'alimentazione, o meglio l'inizio di una dieta ipocalorica, dà un'illusione di controllo su una complessità di vita che caratterizza il passaggio adolescenziale.'
Con questo spettacolo ci rivolgiamo ad un pubblico di adulti e, soprattutto, a genitori di ragazzi in adolescenza, età nella quale la ricerca di una propria identità, nel delicato passaggio dall'infanzia alla maturità, può portare alla scelta di negare un corpo che si trasforma da snello e asessuato a sinuoso e prolifico.
'Ero l'uomo ragno. Dalle mie vene lanciavo delle ragnatele per difendermi. Costruivo una gabbia di fili da cui guardavo il mondo dall'alto. Non lo capivo ancora, ma io da quella gabbia non avrei più saputo uscire.
Aspettavo la morte così, come una mosca.'
(Aurora B.) -
Xanax
XANAX
Siete mai rimaste chiuse in ascensore con uno sconosciuto?
Un atto unico di Angelo Longoni
con
Giulio Baraldi e Federica Bognetti
regia
Giulio Baraldi
scenografie
Simona Monfrinotti
assistente alla regia
Claudine Castay
musiche
Portishead, R.E.M., ThieveryCorporation
foto
Mirko Torresani
Due impiegati si incontrano in un ascensore.
Non si conoscono ma lavorano nello stesso palazzo.
Poche parole, sorrisi di convenienza.
Poi l'ascensore si blocca.
Laura e Daniele chiedono aiuto, cercando di farsi sentire.
Ma è venerdì sera, ormai tutti se ne sono andati.
Nemmeno il portiere notturno si accorge di loro.
Chiusi lì dentro.
E a Laura e Daniele, combattendo l'iniziale riserbo, non resta che raccontarsi. Un giornalista fallito, un'impiegata in crisi d'amore.
Due persone diverse, ma simili in un particolare: entrambi, per sopportare le difficoltà della vita quotidiana devono ricorrere a pastiglie, medicinali e psicofarmaci. Primo fra tutti un potente tranquillante: lo Xanax.
In breve tempo, con risultati paradossali ed esilaranti, l'ascensore si trasforma in un luogo di confessione e delirio, (gli psico-farmaci sui personaggi hanno effetti collaterali irresistibili!).
'Lo sai cosa succede qua dentro? Siamo come due cavie, maschio e femmina, chiuse in una scatola di sardine, la paura, il panico, l'accoppiamento, i bisogni corporali, l'aggressività. Un momento di vita vero, condensato, concentrato.'
Commedia brillante in un micro-interno, claustrofobica rappresentazione dell'illusione perduta, questo testo di Longoni incarna, per noi, tutto ciò che vorremmo guardare senza essere, tutto ciò che ci sorride sul filo della dannazione.
I due protagonisti, forse, hanno le nostre paure.
E quindi, forse, siamo noi.
Macró Maudit, dopo "Mobbing!" e "Nel fango del Dio pallone", torna alle atmosfere dark di "Gomez" e "Come Vallanzasca" con un'opera surreale e divertente di un importante drammaturgo italiano contemporaneo. -
Rosso Malpelo
ROSSO MALPELO
Dalla novella di Giovanni Verga
Con il patrocinio di Unicef
con
Patricia Conti
drammaturgia e regia
Leo Muscato
scene e costumi Federica Sala
assistente alla regia
Michele Ciardulli
foto Mirko Torresani
Nel finale de LE CITTA' INVISIBILI, Italo Calvino chiude scrivendo:
"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio".
Chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno?
Molte cose, certo, non lo sono.
I bambini prima di chiunque altro.
Elsa Morante, in un libro straordinario, ci racconta di un Mondo salvato dai ragazzini.
Noi ne abbiamo incontrato uno, di quei ragazzini.
Ma è uno di quelli che non ha saputo nascere.
Uno di quelli che, senza sapere come, si è ritrovato nell'inferno.
Ma, nonostante tutto, è fra quelli in grado di salvare il mondo.
Come farlo durare?
Come dargli spazio?
Cominciamo raccontando la sua storia.
C'è buio pesto e sembra notte fonda, ma non è detto che lo sia. D'un tratto si sente il biascicare di un canto che sembra provenire da lontano: sparuti frammenti di melodia, sopravvissuti alla giustizia e all'ingiustizia del tempo. Appare una donna in evidente stato di gravidanza. Si siede e si mette in ascolto: sembra avere l'urgenza di ricordare qualcosa, o qualcuno, senza sapere nè cosa, nè chi deve ricordare. Finalmente gli viene in mente un volto, quello di un ragazzino. Nessuno sapeva quale fosse il suo vero nome:
"Tutti lo chiamavano Malpelo perché aveva i capelli rossi. E aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di diventare un fior di birbone".
La donna comincia a ricordare e, lentamente, prende corpo una storia.
Una di quelle che si tramanda da generazioni, destinate a diventare leggenda; una di quelle storie che, se poi provi a raccontarla, non sai più da dove prenderla; perché nel raccontarla, ti fa porre delle domande alle quali, il più delle volte, non sai rispondere.
E' la storia di un bambino che lavorava alla cava della rena rossa; uno fra tanti che, per guadagnarsi la pagnotta, doveva caricarsi sulle spalle, dei corbelli di pietra pesanti oltre venti chili e portarli in superficie. Arrampicarsi decine di volte nei cunicoli stretti e lunghi chilometri. A lui, un giorno, toccò la sventura di perdersi in una galleria.
La leggenda vuole sia ancora lì…
"...che cammina e cammina ancora nel buio gridando aiuto, senza che nessuno possa udirlo... e i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi...".
La leggenda vuole sia ancora li.
E la cronaca ci dice che non è il solo.
Ancora oggi, sono milioni i ragazzini che gli fanno compagnia. Laggiù nel sotterraneo.
Sotterranei diversi, forse; ma altrettanto bui e dolorosi.
Per questo ci piace immaginare che, lì sotto, il nostro Malpelo non si sia perso.
Vogliamo credere che, nel buio di quella galleria, abbia intravisto una luce - forse una crepa, o l'apertura di una grotta – e l'abbia seguita.
E di lì sia risalito fino in superficie.
Chi lo sa?
Dedicato a tutti i Malpelo che non hanno avuto il buon senso di nascere nel luogo giusto, e che continuano ad affollare i cunicoli stretti nel Sud del Mondo.
A Sud delle anime. -
Milanoir Milanuit
MILANOIR MILANUIT
Opera criminal-musicale in un atto e mezzo
di Piero Colaprico
con
ALESSANDRO CASTELLUCCI e PIERO COLAPRICO
e con la partecipazione straordinaria di
MARCO BALBI
DAVIDE "ATOMO" TINELLI
LUCIANO LUTRING (Il solista del mitra)
EL PELE'
PAOLO FOSCHINI
e (per la prima volta sulla scena) Avv. MIRKO MAZZALI
Musiche dal vivo
DANIA COLOMBO
DIDI MARTINAZ
MARIO NEUMARKER
MANUEL MAURI
Luci CLAUDINE CASTAY
Montaggio video CLAUDIO CINGOLI, LUCA ACERNO
Organizzazione ANDREA PERRONE
Foto ROBY SCHIRER (Ag. Tam Tam)
Regia GIULIO BARALDI
La Milano del dopoguerra,
la "Ligera",
romantica epopea di una città che stava crescendo.
I suoi ritrovi,
l'immigrazione,
il lavoro.
La memoria che resta.
Fino alla nebbia di oggi,
la nebbia
che non ci fa vedere quanto batte ancora il cuore di questa città.
Milanoir Milanuit, il “trapianto” di un’osteria sulle assi di un palcoscenico. E’ un’idea impastata di fango e di vino, è uno spettacolo che cerca di avere la dignità del povero che sa di avere le tasche vuote, ma va in giro con gli abiti puliti e la testa alta. La trama è semplice e leggera, come un buon fagotto.
Siamo a Milano, una città che si ama o si odia, ma non ci lascia indifferenti.
Un oste ingrassato dallo stress e dai debiti comincia a ragionare sulla possibilità di “fare un colpo”, ma, a sorpresa, viene organizzata nel suo locale una specie di conferenza sul crimine, dedicata alle storie della mala.
Perché Milano è stata l’unica città ad avere di tutto e a battere anche i record più macabri: la rapina più famosa (quelle delle tute blu di via Osoppo), la rapina più sanguinosa (messa a segno dal gruppo di Pietro Cavallero e Sante Notarnicola), la strage di mala con il più alto numero di vittime (al ristorante le Streghe, in via Moncucco), i tanti boss da prima pagina, come Turatello, Vallanzasca, Angelo Epaminonda detto il Tebano.
C’è la storia di una violenza che prosperava accanto al denaro: la Milano grigia, o nera, accanto alla Milano d’oro.
Non è un caso che, accanto agli attori siano in scena o Luciano Lutring, il solista del mitra, o “el Pelè”, un vecchio ladro, un erede della ligera di Milano, dotato di bella voce da cantinante (cantante da cantina…) e vengano chiamati, di volta in volta per brevi siparietti avvocati, vigili urbani, magistrati…
E così, mentre gli attori parlano di sparatorie, di bische e di omicidi, risuonano le note e anche gli accenti del dialetto, scorrono le immagini tratte da vecchi documentari, si viaggia nel tempo, si vola sui Navigli, si entra a San Vittore, si conoscono madama e donne di strada.
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Atti sovversivi
ATTI SOVVERSIVI
Liberamente tratto da 'I giusti' di Albert Camus
con
Alessandro Castellucci (Boris)
Federica Bognetti (la Giannelli)
Rocco Ricciardulli (Yuri)
Patricia Conti (Dora)
Giulio Baraldi (Ivan)
drammaturgia e regia
Giulio Baraldi
scene
Simona Monfrinotti
musiche originali
Gipo Gurrado, Carlo Zerri, Tony Boselli, Valentino Finoli
foto e light designer
Gianluca Giannone
aiuto regia
Claudine Castay
musiche
Area, Black Sabbath, Medeski Martin & Wood
Milano, anni settanta: una polveriera.
In questa atmosfera di tensione e propaganda politica, un risoluto gruppo rivoluzionario, appostato da settimane in un angusto appartamento, sta per entrare in azione.
Un attentato che mira al cuore dello Stato.
Tutto sembra organizzato nei minimi dettagli, ma nessuno aveva previsto sull'auto da colpire la presenza di due bambini.
Liberamente tratto dal dramma "I giusti" di Albert Camus, "Atti Sovversivi" è uno spettacolo ispirato alle vicende della lotta armata italiana, alle musiche e alle atmosfere di quegli anni.
Senza mirati riferimenti storici, indagando soprattutto sulla questione moralità/violenza, determinazione ideologica/fragilità umana, già affrontate dallo scrittore francese.
Dopo "Come Vallanzasca" e "Mobbing!", un'altra tappa importante dell'esplorazione drammaturgica di Macró Maudit.
Questa volta sul terrorismo attraverso ideologia, fanatismo e sogno spezzato.
Buona rivoluzione! -
Il viaggio di Antonio
IL VIAGGIO DI ANTONIO
Partì da Rotondella, in Basilicata, e arrivò a Buenos Aires
con il sostegno di
"Basilicata Cultural Society of Canada"
con
Rocco Ricciardulli
Alessandro Castellucci
Giulio Baraldi
Alice Bettinelli
Raffaella Agate
Stefania Zucchetti
scritto e diretto da
Giulio Baraldi
Tra il 1869 e il 1945 più di trecentomila lucani lasciarono la Basilicata. Il novecento è stato l'epoca dell'emigrazione, del mutamento. Milioni di uomini e donne hanno lasciato il paese natio, con la speranza di un futuro diverso, migliore. Milioni di persone si sono allontanati dalla propria terra, "hanno fatto la valigia" con la speranza di tornare, un giorno, economicamente più forti. Per sé e per la propria famiglia.
"Il viaggio di Antonio" è il coinvolgente racconto di quel lungo viaggio, dell'abbandono della terra d'origine. E del ritorno ad essa. E' uno spettacolo pieno di ricordi e di colori; un'appassionante narrazione che si apre davanti ai nostri occhi: decine di personaggi narrati prendono vita attraverso gli attori e le attrici.
Lo scambio tra le lingue, il dialetto, i suoni, i sapori, gli odori di questa storia lucana ci travolgono come un ballo popolare, come un'allegra e coinvolgente serata in compagnia.
Il palcoscenico prima diventa la nave che attraversa l'Oceano, poi un losco locale di tango.
E così via attraverso vicoli, scorci di città, quartieri latini, luoghi sempre nuovi e diversi.
Uno spettacolo dedicato alle storie dei nostri padri e delle nostre madri, un inno alle emozioni della propria terra, alla nostalgia ma soprattutto alla vitalità della gente lucana.
Ma lo spettacolo propone anche qualcosa di più: un vero e proprio incontro con la gente, uno scambio con le persone che quelle storie ha raccontato o ha sentito raccontare.
Durante la rappresentazione uno scambio di emozioni tra i personaggi in scena e gli spettatori e al termine dello spettacolo tra gli attori e il pubblico che, speriamo, sera dopo sera, riuscirà ad arricchire la passione e la memoria di tutti.
Ci fermeremo tra la gente per ascoltare le storie vere, per conoscere le vicende del vero Antonio e della vera Lucia.
In ogni paese, in ogni piazza proveremo a ricordare, insieme al pubblico.
Per assaporare il gusto dolce o amaro, ma sincero della nostra memoria.
"Il viaggio di Antonio" vuole essere, per noi, l'inizio di un cammino lungo, felice, lontano, pieno di sorprese, intenso, provando a immaginare, cercando di scoprire attraverso il teatro quello che fu il viaggio di un vero emigrato.
Uno che tra milioni si allontanò dal suo paese alla ricerca della "fortuna".
Buon viaggio.
Il viaggio di Antonio, nella stagione 2003-2004, ha effettuato una fortunata e memorabile tournée a Toronto - Canada. -
Come Vallanzasca
COME VALLANZASCA
con PAOLO PIEROBON
scene SIMONA MONFRINOTTI
organizzazione CLAUDINE CASTAY
foto e grafica GIANLUCA GIANNONE
progetto luci BEPPE SORDI
musiche AFTERHOURS
scritto da BARALDI-PIEROBON
regia GIULIO BARALDI
Il 2 gennaio 1988 un uomo, E.P., venne fermato a Milano con l'accusa di aver aggredito la sua fidanzata.
Portava occhiali da sole e vestiva come un "gangster".
Ai carabinieri si presentò con il nome del più famoso bandito italiano del dopoguerra: "Vallanzasca".
In principio non rispose agli interrogatori degli inquirenti.
Poi, sotto sedativi, cominciò a raccontare le sue ultime deliranti 24 ore.
Scandito dalle travolgenti musiche degli Afterhours, Macró Maudit presenta Paolo Pierobon in un monologo rabbioso e dirompente. Le ultime ore di un uomo solitario e senza freni, "uno di quelli che non ne possono più e si rivoltano all'ordine costituito.
Uno di quelli con il coraggio che spesso vorremmo avere. -
Sbarlùsc
SBARLUSC
Il teatro senza varietà
PREMIO SPECIALE ETI - Scenario 2001
con
Giulio Baraldi
Alessandro Castellucci
Federica Bognetti
Ettore Distasio
Federica Fabiani
Walter Maconi
scritto e diretto da Giulio Baraldi
con la partecipazione del ventriloquo Pippo Maugeri
e degli allievi della scuola del Teatro Comico 'Macró Maudit'
musiche Yann Tiersen e Les Tètes Raides
organizzazione Claudine Castay
scenografie Simona Monfrinotti
Questa è una storia che comincia (e finisce) nel 1975. Durante una rissa all'Osteria del Ponte Rosso, Cecile, "ballerina" di Marsiglia, viene colpita ad una gamba: un colpo di pistola che le rovinerà la vita. Intanto Franco, suo marito, la sta 'vendendo' a carte. Promette, se non salderò il debito entro due ore, di concedere agli avventori le prestazioni della sua signora.
Da questo bruciante incipit nasce e si sviluppa 'Sbarlùsc' - parola dialettale che significa 'luccicante'. Uno spettacolo sulla caduta, sull'indebitamento e sul bisogno di rivalsa.
Tutti i personaggi sono colpiti da episodi senza uscita; alcuni già da tempo aspettano vendetta o riscatto.
Qualcuno, come Teresa, cerca una fuga nei ricordi o negli incubi: suo padre, un artista di Varietà ormai debilitato, le aveva promesso un posto accanto a lui sulla scena di provincia. Non le resta che sognare di essere 'tagliata in due', come nel numero di un mago scapestrato che aveva visto da piccola.
Qualcun'altro, come Moreno, vuole battere l'avversario: lui pugile dilettante è ossessionato dalla figura del "Bovisa", boxeur rionale di bassa qualità lo incontrerà e lo batterà proprio la sera in cui tutti (e soprattutto la sua famiglia) avevano scommesso contro di lui.
'Sbarlùsc' è una rappresentazione ironica, viscerale: uno spettacolo che, attraverso la dinamica classica 'ascesa-caduta' coinvolge per una messa in scena caustica ed originale.
Una vecchia stanza, una strada e un'osteria sporca, senza nostalgia, dove ci si può davvero rovinare. Un anziano attore di varietà, un contrabbandiere napoletano di terz'ordine, un inquilino sconosciuto; un biscazziere che stanotte non tornerà più a casa; un pugile minore e la sua ombra che galleggia sui Navigli...
Ma tutto non sarà chiarito e ci terrà inchiodati... finché non calerà il sipario.
Questo lavoro è dedicato a chi ha sputato sangue (e vino) sulle scene, a chi si è sporcato davvero le mani e non ha avuto paura di fare il "teatrino". A tutti quelli che verranno nel nostro paese. A chi ci crede ancora. A chi, dopo uno spettacolo, ha atteso qualcuno che non è più arrivato. -
Gomez
GOMEZ
Servizi particolari per signore sole
di e con
Giulio Baraldi e Paolo Pierobon
Questa commedia nera nasce in un sottoscala, un piccolo spazio in via Visconti D'Aragona 22, a Milano, dove la leggenda narra sia stata fondata la compagnia Le Macró Maudit, nell'Agosto del 1999.
Che cosa c'era? Un palco di 4 metri per 4 e una storia.
Due giovani accompagnatori per signore, due "prostituti" che abitano (guarda caso) un sottoscala dove, in mancanza d'altro, ricevono anche le loro clienti, signore della borghesia milanese dei nostri giorni.
All'inizio il lavoro è un vero successo, fioccano gli appuntamenti e il denaro scorre a fiumi, anche grazie al famigerato "Gomez", un maledetto protettore anonimo ed invisibile, che procura le clienti e assicura protezione alla fiorente attività. (Un vero maquereau maudit...)
Poi un lento e inarrestabile declino, dovuto più a nostre crisi personali e caratteriali che a vere crisi "di mercato".
Ed è da questa "zona di crisi" che comincia lo spettacolo; tra il "nero" e il "rosso" (i loro nomi d'arte e mestiere) c'è tensione; si rubano le clienti; ci si adatta anche a "frequentare" signore anziane pur di lavorare; si arriva allo scontro fisico pur di prevalere l'uno sull'altro; la situazione degenera fino all'omicidio di una signora, durante un rapporto sessuale con le più drammatiche e paradossali conseguenze.
E' una materia "pesante" che abbiamo cercato di trattare con leggerezza, è una trama che si complica e si dipana ma che abbiamo scritto con cura per non "mollare" mai l'attenzione dello spettatore.